No alla privatizzazione della cultura. È necessaria una RAI che torni ad essere servizio pubblico, come 20 anni fa

  • Posted on: 15 July 2021
  • By: Anonimo (non verificato)

Stefania Brai*
Nel 2012 parlavamo di “sospensione della democrazia” a proposito delle nomine Rai da parte di Monti, quando cioè il presidente e il direttore generale furono nominati direttamente dal governo.
E la sospensione della democrazia – formalizzata dal governo Renzi che ha riportato la Rai a prima della riforma del 1975, riconducendola sotto il diretto controllo politico del governo – continua fino ad oggi, nel silenzio generale. Continua dal punto di vista formale con la nomina da parte di Draghi di Carlo Fuortes ad amministratore delegato e di Marinella Soldi a presidente della Rai, ma continua ancora di più dal punto di vista sostanziale perché a dirigere la più grande istituzione culturale pubblica del paese vengono messi donne e uomini espressioni del mondo economico e manageriale e per questo ritenuti “neutrali dal punto di vista politico”. Scelti in realtà in perfetta coerenza con una politica economica, sociale e culturale che lavora per una società basata sulla precarizzazione del lavoro, dove tutto è merce e mercato e tutto deve essere privatizzato.
Tanto per capire chi sono coloro che dovranno gestire il servizio pubblico radiotelevisivo. Carlo Fuortes, “manager ed economista della cultura”, è stato osannato da Franceschini e fortemente contestato dai lavoratori e dal sindacato nella sua gestione del Petruzzelli di Bari e del Teatro dell’Opera di Roma. In un durissimo comunicato di Slc-Cgil (“Opera di Roma: operazione verità su gestione Fuortes”) si leggeva:… “Perseguendo un suo modello produttivo basato sull’occupazione precaria “a geometrie variabili”…(Fuortes) ha lasciato come commissario straordinario il prestigioso teatro di Bari in un cratere del tutto debitorio”…”Noi ci adopereremo in un’operazione verità anche sulla gestione del teatro dell’Opera di Roma istruendo tutta la documentazione necessaria in cui evidenzieremo sia le fantasmagoriche evoluzioni del conto economico della Fondazione che i gravami di una gestione del tutto anomala a partire dal sistema appalti” … “Per l’intanto il Sovrintendente Carlo Fuortes… si caratterizza nell’avvelenare i pozzi spaccando le organizzazioni sindacali interne con la maestria nel conferire incarichi e promozioni, mortifica le competenze, attacca il diritto di sciopero, punisce l’insieme dei lavoratori sugli stipendi per mascherare il danno erariale da lui stesso provocato”. Obiettivo: “svuotare i nostri prestigiosi teatri di occupazione stabile e di qualità trasformandoli in centri di circuitazione al soldo delle agenzie internazionali”. È per questi meriti che è stato chiamato a gestire la Concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo?
Insieme a lui il futuro presidente della Rai sarà Marinella Soldi che di cultura e di “produzione di senso” se ne intende visto che è presidente della Fondazione Vodafone e consigliere indipendente di Nexi, di Italmobiliare (famiglia Pesenti) e di Ariston Thermo (caldaie).
Ma tutto ciò non scandalizza più nessuno e questo è, se possibile, l’aspetto ancora più tragico.
La più grande istituzione pubblica “produttrice di senso” ha bisogno invece di un progetto culturale che ne ridefinisca il ruolo e porti il servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani, ma ancora di più alle sfide culturali di oggi e di domani. Che riporti la Rai alla sua funzione fondante: raccontare la realtà attraverso tutti i possibili mezzi espressivi; dare voce e volto ai tanti immaginari e a quella diversità delle espressioni culturali “protetta” da una Convenzione dell’Unesco; garantire una informazione non “obiettiva, che non esiste in natura, ma “completa”, o meglio ancora democratica, cioè un’informazione che rispecchi e rappresenti la società insieme a tutti i “soggetti” presenti nella società e che dia conto dei diversi punti di vista che quei soggetti esprimono. Contribuire cioè alla formazione di un pensiero critico, individuale e collettivo.
La Rai ha bisogno di una riforma del suo assetto istituzionale che la riporti sotto il controllo del Parlamento e che preveda che siano i lavoratori della Rai, quelli dell’informazione, le forze sociali, culturali e professionali di tutta la produzione culturale (dall’editoria al cinema, dall’audiovisivo al teatro e alla musica, e così via) a proporre delle rose di nomi sulle quali il Parlamento deve decidere. Una riforma che riporti la Rai ad essere “servizio” pubblico per i tanti “pubblici” di cui è composta la società, sottraendola e liberandola dai criteri di economicità e di mercificazione della sua offerta culturale per puntare ad una proposta diversificata che produca domande culturali diversificate.
E allora andrebbe aperta una riflessione ed elaborazione culturale e politica che dovrebbe comprendere anche una analisi della storia della Rai, delle progressive trasformazioni della struttura aziendale, del suo continuo degrado culturale, della sua “privatizzazione” di fatto e nei fatti, della perdita delle professionalità, del suo “impoverimento” complessivo.
E poiché siamo a 20 anni dal G8 di Genova, vorrei ricordare che risale ad allora una Rai che tentava ancora di svolgere il suo ruolo di servizio pubblico, quando il suo presidente, Roberto Zaccaria (costituzionalista ma ancor di più un intellettuale), partecipò alla conferenza stampa indetta da 55 autori cinematografici italiani insieme al Genoa social forum impegnandosi pubblicamente ad acquisire e trasmettere un film che ancora doveva nascere.
*Responsabile Cultura PRC-S.E.